E’ uno tra gli illustratori italiani più ricercati ed apprezzati in Italia e all’estero: Carlo Stanga, classe 1966, è il perfetto esempio di come sia possibile vivere grazie al proprio talento ai giorni nostri. Dopo la Laurea in architettura conseguita presso il Politecnico di Milano, infatti, Carlo decide di dedicarsi pienamente alla propria passione, quella dell’illustrazione, lavorando per clienti come Lufthansa, L’Espresso, Nestlè, La Repubblica e molti altri.
Il suo tratto, immediatamente riconoscibile per la bellezza, la precisione e la ricerca del dettaglio, viene premiato da importanti riconoscimenti internazionali, ultimi dei quali l’American Illustration 35 (2016), il Premio Treccani Web (2016) e l’Illustration Annual 55th (2015).
La nostra tipografia online StampaVolantini.org ha avuto la fortuna di poter rivolgere alcune domande direttamente a Carlo Stanga, affrontando gli aspetti più significativi del suo mestiere e, soprattutto, della sua arte.
Carlo, prima di tutto grazie per aver accettato la nostra intervista. Iniziamo subito parlando della sua arte: come definirebbe in poche parole il suo stile?
Difficile definire il mio stile perché è talmente parte di me e spontaneo che faccio fatica a osservarlo dall’esterno. Poi il termine stile mi sembra sempre molto ambiguo, credo che dovrebbe tradursi più come “ riconoscibilità” in senso lato, non solo e non tanto per come uno disegna una casa o un albero, ma per l’approccio generale nel raccontare e comunicare un’idea.
Direi che nel mio lavoro è molto importante il sottile tratto nero del rapidograph 0.1, vecchio strumento da architetto, con cui delineo soprattutto architetture ricche di dettagli. Mi piace mantenere parti non finite o non colorate in contrasto con altre zone più, per così dire, curate. Si deve leggere l’ispirazione spontanea, veloce, il gesto dello schizzo e il sapore tipico dell’incontro tra carta e inchiostro. Negli ultimi anni è aumentato il colore e l’aspetto surreale che è così tipico della nostra cultura latina.
Nel corso della sua formazione professionale ha avuto modo di collaborare con Bruno Munari, uno dei nomi più influenti nel design e nell’arte del XX Secolo. Cosa le ha lasciato questa esperienza?
L’insegnamento di Bruno Munari non mi ha influenzato banalmente nello stile, ma nell’approccio alle cose, con un nuovo modo di vedere il mondo, libero dagli stereotipi che gli adulti si costruiscono in testa a causa di insegnamenti rigidi ed esperienze in cui la fantasia viene soffocata e svalorizzata. Munari mi ha insegnato che un’arancia può essere il sole o la luce di un semaforo, che un albero può essere blu e una nuvola verde, non ci sono limiti alla creatività, magica parola che significa riuscire a dare vita a qualcosa che prima non esisteva, magari trovando collegamenti nascosti tra le cose di tutti i giorni, andando oltre i grigi stereotipi con cui spesso, troppo spesso, si legge la realtà.
Quali artisti l’hanno ispirata maggiormente e quali sono risultati determinanti nella formazione del suo stile personale?
Disegnavo già da prima di iniziare a parlare e anche allora si capiva come tendessi alla rappresentazione complessa, ricca di particolari, quindi poi sono stato attratto sia da chi era capace di affrontare una rappresentazione molto ricca di dettagli, come Adelchi Galloni, sia da chi, al contrario, prediligeva la forza dell’immagine diretta e essenziale come Guido Scarabottolo. Da questi grandi autori italiani, ma anche da molti stranieri come Paul Hogarth, mi sono lasciato suggestionare anche nella libertà nell’uso di tecniche diverse e spontanee utilizzate tutte insieme in un’unica illustrazione: inchiostro non solo nero, ma di vari colori, acquerelli su carte diverse, pennarelli, pennelli, spugne, spatola ecc.
Parliamo del progetto I Am The City, in collaborazione con Moleskine. In cosa consiste?
Ho proposto a Moleskine, con cui avevo già lavorato in precedenza, il progetto di una collana di libri illustrati dedicati alle maggiori metropoli del mondo. Moleskine ha risposto con entusiasmo.
Nella serie “ Iam the City” la città parla in prima persona di se stessa, presentando al lettore il proprio carattere nelle mille sfaccettature, passando dalle architetture e atmosfere più conosciute alle curiosità nascoste. Per me è un modo di unire in un unico progetto tanti aspetti che amo: la scrittura, il disegno, il viaggio, l’architettura, il design, il racconto. Si tratta tra l’altro di valori molto in sintonia con Moleskine, che come tutti sanno inventò il mitico taccuino usato da tanti scrittori e viaggiatori famosi, come Chatwin e Hemingway, ma anche da architetti, designer e progettisti di fama da tutto il mondo. Da alcuni anni Moleskine pubblica , oltre ai famosi notebooks, anche veri e propri libri dedicati soprattutto alle suggestioni che nascono dal mondo a lei piú vicino: viaggi, disegno, design, architettura, progettualità e tutto quanto gravita intorno. Direi uno scenario interessante e accattivante.
Lei cresce a Milano dove perfeziona la sua vena artistica, e proprio a Milano dedica il primo libro della serie I Am The City. Che rapporto ha con questa città?
Sono arrivato a Milano da Cremona a 18 anni per frequentare il Politecnico. Poi sono rimasto per continuare il mio lavoro in una città effervescente e ricca di opportunità. È stato naturale inaugurare la serie di I am the City con Milano nell’anno di Expo e poi è una città a cui sono molto legato e che conosco bene.
Ora invece vive a Berlino: è stato difficile lasciare la sua Milano? E’ stata una scelta dettata più da esigenze professionali o personali?
Avevo voglia da tempo di cambiare ambiente e Berlino mi è sembrata subito la città giusta. Per chi lavora in ambito creativo è molto importante cambiare contesto e sentirsi immerso in una nuova atmosfera con stimoli diversi. Con Milano il rapporto è sempre ottimo e ci torno abbastanza spesso, Berlino è così vicina. Mi sento europeo e mi pare normalissimo spostarsi all’interno del continente a cui si appartiene, nessuno si stupisce se un americano trasloca da New York a San Francisco. Mi pare che i giovani di oggi lo abbiano capito e siano diventati molto più mobili, anche grazie all’Erasmus.
Quali altre città potremo vedere immortalate dalla sua fedele Rapidograph 0.1 per la serie I Am The City?
Ora sto lavorando a “ I am London”, straordinaria metropoli che mi affascina e mi entusiasma. Ci saranno poi New York, Parigi, Berlino e spero altre a seguire, ma non voglio correre troppo, non amo il fast tourism.
Disegnare un’intera città con la minuzia dei dettagli che contraddistingue il suo stile, e che tradisce spesso la sua formazione di architetto, sembra essere un lavoro impossibile da realizzare senza un metodo preciso. Può descriverci i passaggi fondamentali che le permettono di concretizzare la sua idea su carta? Quanto si lascia guidare dall’immaginazione e dalla memoria, e quanto invece deve far riferimento a mappe e fotografie reali?
Non ho un metodo preciso, mi lascio guidare dall’intuito e da immagini che mi suggestionano, sia trovate in internet che su libri, ma è sempre la visita diretta, dal vivo, da cui parte il primo input. Poi sulla carta, partendo da uno schizzo di prova iniziale, sviluppo e do vita all’immagine e ai colori che ho visualizzato in una figura mentale.
Il suo ultimo lavoro edito da Moleskine è “The Wandering City”: una raccolta di suggestivi disegni da colorare. Da dove nasce l’idea dei Colouring Books?
Con Moleskine abbiamo pensato che le mie illustrazioni cariche di dettagli, con il sottile tratto nero, fossero perfette per essere colorate. Da bambino , sdraiato su un enorme foglio di carta bianca, disegnavo grandi paesaggi urbani a pancia in giù, poi i compagni di scuola si divertivano a colorare tutto secondo la loro ispirazione. Nascevano immagini speciali, inaspettate, e la sensazione di condivisione creativa era gradevole. In fondo con “ The Wandering City”, ora anche in versione tedesca “ die Waldende Stadt”, ho ripetuto le stesse esperienze infantili, ma su larga scala.
Oltre a paesaggi reali, realizza anche scenari immaginari. Da dove trae l’ispirazione?
Non faccio molta distinzione tra paesaggi reali e fantastici. Tutto nasce da un mix tra reale e surreale. Il fantastico, come dici tu, coinvolge l’immagine reale appena filtrata dalla mia mente. Nessuno degli edifici che ritraggo dal vivo è completamente fedele all’originale e nessun edificio fantastico è privo di elementi che nascono dalla realtà. Mi piace la contaminazione di stili e di tecniche, di prospettive e di luci.
Quali consigli vorrebbe dare ad un giovane che desidererebbe intraprendere la carriera di illustratore?
Consiglierei a un giovane di non immergersi solo nello studio delle tecniche e del disegno, ma di leggere, viaggiare e crearsi una solida cultura di base. Non è affatto necessario frequentare un liceo artistico, meglio il liceo classico o scientifico e una attenzione al disegno che si può anche coltivare privatamente. Lo strumento più importante oggi per un illustratore è poi certamente l’inglese!
Che bellezza! Sembra di rivivere l’atmosfere di milano
non conoscevo ancora questo artista, molto belle le immagini